Usura e interessi di mora

Usura e interessi di mora: la decisione delle Sezioni Unite

Risolto il contrasto giurisprudenziale: la disciplina antiusura si applica anche agli interessi moratori (sentenza n. 19597/2020)

In data 18.9.2020 è stata depositata la attesissima sentenza delle Sezioni Unite, chiamata a pronunciarsi sulla questione, ritenuta di massima di particolare importanza ai sensi dell’art. 374, comma 2, cpc, se anche gli interessi di mora fossero soggetti, o meno, alla normativa antiusura di cui agli artt. 644 c.p. e 1815 c.c. 

Gli orientamenti contrapposti

Sul punto si erano infatti registrati contrapposti orientamenti sia in dottrina che in giurisprudenza.

La tesi restrittiva

I sostenitori della tesi della non applicabilità della disciplina antiusura agli interessi di mora si richiamavano, in particolare:

a) alla lettera delle norme e principalmente all’art. 1815, comma 2, cod. civ. che si riferisce ai soli interessi corrispettivi e all’art. 644, comma 1, c.p. che incrimina chi si fa «dare o promettere» interessi usurari «in corrispettivo di una prestazione di denaro»;

b) alla funzione degli interessi: gli interessi corrispettivi hanno funzione remunerativa per il godimento del denaro, i moratori, invece, risarcitoria, rappresentando, ex art. 1224 cod. civ., il danno conseguente l’inadempimento di un’obbligazione pecuniaria;

c) alla previsione dell’art. 1284, comma 4, cod. civ. secondo cui se «le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali»: essendo, invero, sovente il tasso della disciplina speciale, di cui all’art. 5 d.lgs. n. 231 del 2002, superiore al tasso-soglia usurario, allora, ai fini dell’usura, non potevano rilevare gli interessi moratori convenzionali, perché, altrimenti, la norma ammetterebbe una “usura legale”;

d) alla circostanza del mancato rilievo degli interessi moratori nel tasso soglia dei d.m.: nelle voci computate dai decreti ministeriali al fine della rilevazione del tasso medio non erano inclusi gli interessi di mora, mentre i due dati – T.e.g. del singolo rapporto e T.e.g.m. determinante il tasso soglia – dovevano essere omogenei: onde nel T.e.g. del singolo rapporto gli interessi moratori non dovevano essere conteggiati;

e) all’inquadrabilità dell’interesse di mora nell’art. 1382 cod. civ. che poteva, quindi, se eccessivo essere ridotto d’ufficio dal giudice, ai sensi dell’art. 1384 cod. civ.; mentre resterebbe a tal fine inapplicabile l’art. 1815, comma 2, cod. civ.

La tesi estensiva

I sostenitori della contraria tesi estensiva si appellavano:

a) anch’essi alla lettera delle norme sottolineando che la legge (art. 1815, comma 2, cod. civ., art. 644, comma 4, cod. pen., art. 2, comma 4, I. n. 108 del 1996 e art. 1, comma 1, d.l. n. 394 del 2000, conv. dalla I. n. 24 del 2001) non distingue tra tipi di interessi ed, anzi, in alcuni di tali articoli si parla espressamente di pattuizione «a qualsiasi titolo»;

b) ai lavori preparatori della legge n. 24 del 2001, ove si afferma che si voleva considerare l’usurarietà di ogni interesse «sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio»;

c) alla funzione degli interessi: entrambi gli interessi costituiscono la remunerazione di un capitale di cui il creditore non ha goduto, nel primo caso volontariamente, nel secondo caso involontariamente;

d) alla ratio della norma o interpretazione finalistica: il criterio oggettivo previsto dalla legge n. 108 del 1996 intende tutelare le vittime dell’usura e il superiore interesse pubblico all’ordinato e corretto svolgimento delle attività economiche, fini che sarebbero vanificati ove si escludessero dall’ambito di applicazione gli interessi moratori; inoltre, in caso contrario, per il creditore potrebbe addirittura essere più conveniente l’inadempimento, con la possibilità, ad esempio, di fissare termini di adempimento brevissimi per indurre facilmente la mora e lucrare gli interessi;

e) alla non rilevanza di quanto stabilito dall’art. 1284, comma 4, cod. civ, perché ivi il maggior tasso degli interessi legali ha la diversa funzione sanzionatorio/deflattiva a carico del debitore inadempiente, per i casi in cui l’inadempimento perseveri pur dopo la proposizione della domanda giudiziale (che risulterà fondata) e non discende dalla semplice mora; dunque, ha una valenza prettamente sanzionatoria e punitiva anche nell’interesse generale al non incremento pretestuoso del contenzioso;

f) alla irrilevanza della circostanza che i decreti ministeriali di rilevazione non includano gli interessi moratori nella definizione del T.e.g.m., e quindi, del relativo tasso-soglia avendo la legge n. 108 del 1996 costruito il giudizio di usurarietà su di un unico tasso soglia per ciascun tipo di finanziamento e distinto solo tra i diversi modelli contrattuali, non anche tra le differenti specie di costo del credito, prevedendo uno spread tra T.e.g.m. e tasso-soglia, tollerato dal sistema, appunto per lasciare uno spazio ulteriore rispetto ai parametri di mercato.

La soluzione delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite, riassunte le contrapposte tesi, ritengono che, alla luce delle rationes legis sottese alla disciplina antiusura (quali la tutela del fruitore del finanziamento, la repressione della criminalità economica, la direzione del mercato creditizio e la stabilità del sistema bancario) ed in particolare dell’esigenza di piena tutela del soggetto debitore, il concetto di interesse usurario e la relativa disciplina repressiva non possano dirsi estranei all’interesse moratorio, così mostrando di abbracciare la tesi estensiva che vuole anche il tasso di mora assoggettato alla normativa antiusura.

Tutela che, ad avviso del Collegio, non sarebbe adeguata se fosse solo consentito il ricorso allo strumento di cui all’art. 1384 cod. civ. (riduzione della penale ad equità) come sostenuto dai fautori delle tesi restrittiva: questa soluzione infatti non solo potrebbe dare adito ad applicazioni differenti sul piano nazionale, ma anche, verosimilmente, condurre al mero abbattimento dell’interesse pattuito al tasso soglia.

Per le Sezioni Unite sussiste, invece, l’esigenza primaria di non lasciare il debitore alla mercé del finanziatore: il quale ultimo, se è subordinato al rispetto del limite della soglia usuraria quando pattuisce i costi complessivi del credito, non può dirsi immune dal controllo quando, scaduta la rata o decorso il termine pattuito per la restituzione della somma, il denaro non venga restituito e siano applicati gli interessi di mora, alla cui misura l’ordinamento (cfr. art. 41 Cost.) e la disciplina ad hoc dettata dal legislatore ordinario non restano indifferenti.

La disciplina antiusura – affermano pertanto le Sezioni Unite – intende sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi, convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, inclusi gli interessi moratori che sono comunque convenuti e costituiscono un possibile debito per il finanziato: se i primi considerano il presupposto della puntualità dei pagamenti dovuti, i secondi incorporano l’incertus an e l’incertus quando del pagamento – trasformandosi il meccanismo tecnico -giuridico da quello del termine a quello della condizione e anche tale costo deve soggiacere ai limiti antiusura.

Affermata l’assoggettabilità del tasso di mora alla disciplina antiusura, le Sezioni Unite passano poi a fornire la risposta ad una pluralità di questioni ad esso collegate:

1) Individuazione dei tassi soglia per gli interessi di mora

Premesso che nell’individuazione dei tassi soglia debba farsi riferimento ai D.M cui è dalla legge (art. 644 cpc e L. n. 108/1996) demandato l’individuazione dei tassi soglia, vigenti al momento del contratto, le Sezioni Unite affermano che, qualora il D.M. di riferimento contenga anche l’indicazione del tasso di mora medio applicato dagli operatori, sebbene indicato separatamente dal T.E.G.M., in aderenza al principio di simmetria già espresso nella precedente sentenza n. 16303 del 2018 con riferimento alle CMS, di questo tasso medio di mora debba pure tenersi conto nell’individuazione della soglia limite per gli interessi moratori.

Se, al contrario, il D.M. di riferimento non rechi neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori (come avveniva in passato), allora le Sezioni Unite affermano che ai fini dell’individuazione del tasso soglia resta il termine di confronto del T.e.g.m. così come rilevato.

Ritengono infatti che in ragione della esigenza primaria di tutela del finanziato, sia giocoforza comparare il T.E.G. del singolo rapporto, comprensivo degli interessi moratori in concreto applicati, con il T.E.G.M così come in questi rilevato; onde poi sarà il previsto margine di tolleranza, sino alla soglia usuraria, che dovrà offrire uno spazio di operatività all’interesse moratorio lecitamente applicato.

2) Conseguenze dell’accertata usurarietà degli interessi di mora

Le Sezioni Unite sostengono che in caso di accertamento di avvenuto superamento della soglia antiusura da parte del tasso di mora si applichi l’art. 1815, comma 2, cod. civ., ma in una lettura interpretativa che preservi il prezzo del denaro.

Reputano infatti che la norma citata possa trovare una interpretazione che, pur sanzionando la pattuizione degli interessi usurari, faccia seguire la sanzione della non debenza di qualsiasi interesse, ma limitatamente al tipo che quella soglia abbia superato.

Invero, ove l’interesse corrispettivo sia lecito, e solo il calcolo degli interessi moratori applicati comporti il superamento della predetta soglia usuraria, ne deriva che solo questi ultimi sono illeciti e preclusi; ma resta l’applicazione dell’art. 1224, comma 1, cod. civ., con la conseguente applicazione degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente pattuiti.

Il Collegio trae la sua convinzione dalla considerazione secondo cui, caduta la clausola degli interessi moratori, resta un danno per il creditore insoddisfatto, donde l’applicazione della regola comune, secondo cui il danno da inadempimento di obbligazione pecuniaria viene automaticamente ristorato con la stessa misura degli interessi corrispettivi, già dovuti per il tempo dell’adempimento in relazione alla concessione ad altri della disponibilità del denaro.

Ciò, in quanto la nullità della clausola sugli interessi moratori non porta con sé anche quella degli interessi corrispettivi: onde anche i moratori saranno dovuti in minor misura, in applicazione dell’art. 1224 cod. civ., sempre che – peraltro – quelli siano lecitamente convenuti.

Tale conclusione è confortata – secondo le Sezioni Unite – dalla primaria esigenza di coerenza e non contraddittorietà col diritto eurounitario, come vive dalle interpretazioni rese ad opera della Corte di Giustizia dell’Unione, che più volte è stata adita in via pregiudiziale con riguardo alle direttive in materia di consumatori e si è espressa nel senso secondo cui continuano – pur caduta la clausola sugli interessi moratori – ad essere dovuti quelli corrispettivi, e ciò indipendentemente dalla tecnica di redazione delle clausole medesime, in quanto la direttiva 93/13/CEE non osta a che si giunga alla «soppressione integrale di questi interessi, mentre continuano a maturare gli interessi corrispettivi previsti da detto contratto» (Corte di giustizia 7 agosto 2018, cit., punti 76-78): ciò in quanto «gli interessi corrispettivi hanno una funzione di remunerazione della messa a disposizione di una somma di denaro da parte del mutuante fino al rimborso della somma stessa» (punto 76) e ove «la clausola abusiva consiste in tale maggiorazione, la direttiva 93/13 esige unicamente che la maggiorazione stessa venga annullata» (punto 77).

Quanto agli effetti concreti, tenuto conto che il contratto di mutuo, nel cui genus va ricondotto ogni finanziamento, è un contratto di durata, agli effetti dell’art. 1458 cod. civ., in considerazione del carattere non istantaneo, ma prolungato della durata del prestito, e dell’utilità per il mutuatario consistente nel godimento del danaro – retribuito dalla controprestazione, del pari durevole, degli interessi – assicuratogli dal mutuante per il tempo convenuto, caduta la clausola sugli interessi moratori, le rate scadute al momento della caducazione del prestito restano dovute nella loro integralità, comprensive degli interessi corrispettivi in esse già conglobati, oltre agli interessi moratori sull’intero nella misura dei corrispettivi pattuiti; tale effetto, peraltro, richiede che in sé il tasso degli interessi corrispettivi sia lecito.

Per quanto attiene le rate a scadere, sorge l’obbligo d’immediata restituzione dell’intero capitale ricevuto, sul quale saranno dovuti gli interessi corrispettivi, ma attualizzati al momento della risoluzione: infatti, fino al momento in cui il contratto ha avuto effetto, il debitore ha beneficiato della rateizzazione, della quale deve sostenere il costo, pur ricalcolato attualizzandolo, rispetto all’originario piano di ammortamento non più eseguito; da tale momento e sino al pagamento, vale l’art. 1224, comma 1, c.c.

3) Rilevanza sia del tasso astratto, sia di quello in concreto applicato

Le Sezioni Unite affermano che nel caso che il contratto preveda un tasso di mora sopra soglia, ma la banca applichi, a tale titolo, al momento dell’inadempimento, un tasso di misura inferiore, il mutuatario vanta comunque l’interesse ad agire ex art. 100 cpc per far accertare la nullità ed inefficacia della clausola, in quanto ciò risponde ad un bisogno di certezza del diritto che le convenzioni negoziali siano accertate come valide ed efficaci, oppur no, e l’interesse ad agire in un’azione di mero accertamento non implica necessariamente l’attualità della lesione di un diritto, essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva.

Con la precisazione che, in tale evenienza, la sentenza sarà di mero accertamento dell’usurarietà del tasso, ma in astratto, senza relazione con lo specifico diritto vantato dalla banca, posto che ancora non sarà attuale l’inadempimento ed il finanziatore ancora non avrà preteso alcunché a tale titolo.

Onde se, da un lato, non può essere disconosciuto l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. per la presenza attuale in contratto di una clausola degli interessi usurari, dall’altro lato sarà limitato l’effetto del giudicato di accertamento, non idoneo automaticamente a valere con riguardo alla futura applicazione di un interesse moratorio in concreto, ma solo ad escludere che l’interesse pattuito sia dovuto.

In altri termini, ciò non vuol dire che, da quel momento in poi, egli potrà non adempiere e pretendere che nessun interesse gli sia applicato, oltre all’interesse corrispettivo, incluso nelle rate già dovute.

Realizzatosi l’inadempimento, rileva unicamente il tasso che di fatto sia stato richiesto ed applicato al debitore inadempiente; cade l’interesse ad agire per l’accertamento della eventuale illegittimità del tasso astratto non applicato; i parametri di riferimento dell’usurarietà restano quelli esistenti al momento della conclusione del contratto che comprende la clausola censurata.

In conclusione, affermano le Sezioni Unite, ciò che rileva in concreto in ipotesi di inadempimento è il tasso moratorio applicato; se il finanziato intenda agire prima, allo scopo di far accertare l’illiceità del patto sugli interessi rispetto alla soglia usuraria, come fissata al momento del patto, la sentenza ottenuta vale come accertamento, in astratto, circa detta nullità, laddove esso fosse, in futuro, utilizzato dal finanziatore.

Onde tale sentenza non avrà ancora l’effetto concreto di rendere dovuto solo un interesse moratorio pari al tasso degli interessi corrispettivi lecitamente pattuiti (ex art. 1224 cod. civ.): effetto che, invece, si potrà verificare solo alla condizione – presupposta dalla sentenza di accertamento mero pre-inadempimento – che quello previsto in contratto sia stato, in seguito, il tasso effettivamente applicato, o comunque che, al momento della mora effettiva, il tasso applicato sulla base della clausola degli interessi moratori sia sopra soglia. Ove il tasso applicato in concreto sia, invece, sotto soglia, esso sarà dovuto, senza che possa farsi valere la sentenza di accertamento mero, che non quello ha considerato.

4) L’atteggiarsi dei rispettivi oneri probatori

Le Sezioni Unite quindi enunciano quali sono gli oneri probatori a carico delle parti nelle controversie sulla debenza e misura degli interessi moratori, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ.

Il debitore, il quale intenda provare l’entità usuraria degli stessi, ha l’onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento.

Dall’altro lato, la banca dovrà allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto: fra di essi, la pattuizione negoziata della clausola con il soggetto sebbene avente la veste di consumatore, la diversa misura degli interessi applicati o altro.

5) L’enunciazione dei principi di diritto

Le Sezioni Unite enunciano infine i seguenti principi di diritto, ai sensi dell’art. 384, comma 1, cod. proc. civ.:

«La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso».

«La mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del T.e.g.m. non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perché “fuori mercato”, donde la formula: “T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto”».

«Ove i decreti ministeriali non rechino neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.e.g.m. così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista».

«Si applica l’art. 1815, comma 2, cod. civ., onde non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti, ma vige l’art. 1224, comma 1, cod. civ., con la conseguente debenza degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti».

«Anche in corso di rapporto sussiste l’interesse ad agire del finanziato per la declaratoria di usurarietà degli interessi pattuiti, tenuto conto del tasso-soglia del momento dell’accordo; una volta verificatosi l’inadempimento ed il presupposto per l’applicazione degli interessi di mora, la valutazione di usurarietà attiene all’interesse in concreto applicato dopo l’inadempimento».

«Nei contratti conclusi con un consumatore, concorre la tutela prevista dagli artt. 33, comma 2, lett. f) e 36, comma 1, del codice del consumo, di cui al d.lgs. n. 206 del 2005, già artt. 1469-bis e 1469-quinquies cod. civ.».

«L’onere probatorio nelle controversie sulla debenza e sulla misura degli interessi moratori, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., si atteggia nel senso che, da un lato, il debitore, il quale intenda provare l’entità usuraria degli stessi, ha l’onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento; dall’altro lato, è onere della controparte allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto».

Fonte : Altalex

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